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domenica 2 dicembre 2012

lo stream of thought


Amelia Rosselli utilizza il simbolo dell’Ouroboros per descrivere il procedere ciclico del suo poemetto La Libellula in un passo delle Note:
Il poema è concepito anche in forma di drago che si mangia la coda; fine e principio dovrebbero infatti congiungersi se il poema viene letto scioltamente, intuitivamente. Nel saggio “Spazi metrici” incluso nel mio primo libro Variazioni belliche parlavo di “inserire l’ideogramma cinese tra la frase, la parola e tradurre il rullo cinese in delirante corso di pensiero occidentale”, il poema del 1958 è infatti un’esemplificazione sia linguisticamente, sia formalmente, di questo tipo di scrittura che poi superai e scartai negli anni seguenti. Il poema La Libellula è anche un rullo, ma davvero non cinese, anzi cristianissimo, ispirato al tema della giustizia ebraica.
Il principio della metamorfosi ha un ruolo strutturale nella Libellula:  i versi altrui sono ripresi e variati in uno sviluppo a spirale dove inizio e fine si toccano. L’inizio introduce il tema dell’artista alla ricerca della propria identità, nella parte centrale verranno trasformati i motivi presi da vari autori, che rappresentano la tradizione, e nel finale si completerà il ritratto della poetessa. A livello formale si manterrà uno stile omogeneo basato sul ritmo imposto dalle figure della ripetizione. 

«Il delirante corso di pensiero occidentale», lo stream of thought che la Rosselli imprigiona nella forma cubo sarà alla base della sua novità metrica e retorica (..)

Chiara Carpita vs Amelia Rosselli
[http://www.allegoriaonline.it/PDF/77.pdf]
[tre-inediti-a-cura-di-chiara-carpita]

Antologia Poetica

Questo volume raccoglie tutte le maggiori opere poetiche "italiane" di Amelia Rosselli: le opere giovanili in italiano, inglese e francese di "Primi scritti" (1980, ma risalenti al periodo tra il 1952 e il 1963); il poemetto "La libellula" (1959); le raccolte "Variazioni belliche" (1963), "Serie ospedaliera" (1969) e "Documento" (1976); il poemetto "Impromptu" (1981). Completano il volume alcuni testi tratti da "Appunti sparsi e persi" e a suo tempo inseriti nell'"Antologia poetica" pubblicata nel 1987.



martedì 15 maggio 2012

Quelle scolanze


dino campana
amelia rosselli
Cos'ha il mio cuore che batte sì soavemente ed egli fa disperato, ei
più duri sondaggi? tu Quelle
scolanze che vi imprissi pr'ia ch'eo
si turmintussi sì
fieramente, tutti gli sono dispariti! O sei miei
conigli correnti peri nervu ei per
brimosi canali dei la mia linfa (o vita!)
non stoppano, allora sì, c'io, my
ivvicyno allae mortae! In tutta schiellezze mia anima
tu ponigli rimedio, t'imbraccio, tu, -
trova queia Parola Soave, tu ritorna 
alla compresa favella che fa sì che l'amore resta.

lunedì 2 aprile 2012

corpi consacrati alla scrittura


Alberto Bertoni
Per Amelia Rosselli


Nel 1966, preconizzando la fine dell'avanguardia in un saggio poi accolto dentro Empirismo eretico, Pier Paolo Pasolini appuntava le sue critiche alla poetica di Sanguineti muovendo da ragioni metriche: e sottolineava che il predominio della metonimia sulla metafora indotto da un verso lungo sollecitato a portare «le acmi fuori dalle parole» finiva per stringere il poeta in opere «senza ombre, senza ambiguità e senza dramma, come dei formulari impersonali o dei testi accademici». Oggi, si può leggere una pronuncia di questo genere come una condizione preliminare dell'«avanguardia» praticata dall'ultimo Pasolini, regista, critico, polemista luterano e corsaro (da Teorema a Petrolio, in sostanza), che implicava un forte coinvolgimento tra il corpo, la figura esistenziale dell'autore e le sue tecniche compositive. Il suicidio recente di Amelia Rosselli, un'altra protagonista della nostra avanguardia, "luterana" a sua volta e almeno trilingue, conferma che tale coinvolgimento reca il più delle volte una marca tragica. Ed è singolare che ancora da ragioni metriche muova una delle sue scritture più intense e durevoli, ben precedente ai paragrafi pasoliniani (risalendo al 1962) e ben più radicale, su un piano argomentativo che univa alle ragioni poetiche quelle musicali - soprattutto - e figurative e che anche metteva in causa le grandi categorie fondanti dello spazio e del tempo. Il riferimento è naturalmente alle pagine acutissime di Spazi Metrici, da cui si possono richiamare molte battute esemplari, se è vero che per la Rosselli scrivere poesia equivaleva a «osservare ogni materialità esterna con la più completa minuziosità possibile entro un immediato lasso di tempo e di spazio sperimentale». Di più, la similitudine oggi diffusa di testo poetico e spartito veniva da lei collegata ad un'interazione profonda di forze equivalenti che rendevano ogni simmetria «contrastata da un formicolio di ritmi traducibili non in piedi o in misure lunghe o corte, ma in durate microscopiche appena appena annotabili, volendo, a matita su carta grafica millesimale». E ritentare un equilibrio sperimentando un «ideale reale» era allora come oggi un altro predicato necessario della poesia, a maggior ragione se intorno «la realtà è così pesante che la mano si stanca, e nessuna forma la può contenere. La memoria corre allora alle più fantastiche imprese (spazi versi rime tempi)».
Tali presupposti, d'altra parte, trovavano un riscontro emozionante e necessario nell'imperfezione sussurrata e lacerante del dire italiano di Amelia Rosselli, sullo sfondo dell'estraneità roca ma penetrantissima della voce indotta a pronunciare i proprî versi sulla scena: e sovviene la memoria d'una serata parmigiana di neve mai più così fitta, nel febbraio del 1986, quando ascoltai una sua performance con rapimento e con dolore, nel contesto del festival «Di versi in versi», accanto ad altri protagonisti della nostra avanguardia (Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Corrado Costa), e colsi lo strazio lacerato di quei corpi consacrati alla scrittura, ma insieme sorpresi nell'atto di restituire alla scrittura l'oralità originaria di una parola di nuovo «intera», caricata del peso di un'esperienza di irredimibile scissione, di separazione da qualsivoglia forma possibile di ordine esistenziale. Ed è questa una linea della nostra avanguardia cui prima o poi si dovrà riconoscere, pur lottando con il precario destino editoriale di opera omnia troppo intensi e provocatorî per divenire best-seller, un'altezza molto più certa e duratura di quella raggiunta dai «novissimi», con le eccezioni parziali del Sanguineti di Laborintus e di Postkarten, oltre che dell'ultimo Porta.
In ogni caso, sul valore indiscusso della poesia della Rosselli sono una volta di più intervenuti con acutezza Giovanni Giudici e Niva Lorenzini: il primo sottolineando nell'introduzione all'Antologia poetica edita da Garzanti nel 1987 «la sua ansia di significazione», la seconda parlando di «una via solitaria verso la sregolatezza, nel rifiuto della linearità, della logica che domina le cause e gli effetti». Molto, naturalmente, è ancora da fare sul versante critico, ma chi legge o scrive versi, oggi, a causa del volo estremo che ha concluso l'esistenza di Amelia, dovrà in primo luogo rimpiangere di non poter più condividere l'esperienza concreta di un monologo portato davvero a segnare 'dentro' ogni ascoltatore. Ma, subito, sarà chiamato anche a condividere la certezza di poter contare sulle tensioni e sui contrappunti di un classico vero della sua fine di secolo. Tanto che, nella forma di un sogno, tale consapevolezza viene in sostanza anticipata dalla scrittrice stessa, in uno splendido testo che accoglie tra le sue possibilità di lettura anche quella autoriflessiva:
Il colore che torna dal nero
al verde d'un prato affamato
fiori scesi giù tranquilli
posano per gli artisti
guardandomi girare tranquillamente
per le strade a volte bianche.



n. quattro-cinque, maggio 1996 - 1996, n. 1

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