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mercoledì 26 agosto 2009

L'amore è una scienza

Se l'anima perde il suo dono allora perde terreno, se l'inferno
è una cosa certa, allora l'Abissinia della mia anima rinasce.
Se l'alba decide di morire, allora il fiume delle nostre
lacrime si allarga, e la voce di Dio rimane contemplata.
Se l'anima è la ritrosia dei sensi, allora l'amore è una
scienza che cade al primo venuto. Se l'anima vende il suo
bagaglio allora l'inchiostro è un paradiso. Se l'anima
scende dal suo gradino, la terra muore.

Io contemplo gli uccelli che cantano ma la mia anima è
triste come il soldato in guerra.

Lorenzo Calogero: "Uno degli oggetti.."

Uno degli oggetti della mia vocazione poetica
5
A Roma alla Pietra Serpentina di via Galvani Amelia presentò Lorenzo Calogero per i readings di Quattro Eccezioni in primavera 1982. Per quell'incontro preparò una sua biografia ed una nota...

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1936
1936 - Lorenzo Calogero dopo aver letto la rivista “Il Frontespizio”, cerca di contattare Pietro Bargellini e Carlo Betocchi, ai quali invia le prime poesie con la speranza che vengano pubblicate e sarà costretto a pubblicare a sue spese nel 1936 il suo primo libro, Poco suono.
lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/05/18/lorenzo-calogero/

1937
1937 - Lorenzo Calogero (Melicuccà, 1910-1961), di famiglia benestante, terzo di sei fratelli, si laureò in medicina a Siena nel 1937. Nell'anno successivo conseguì a Siena l'abilitazione all'esercizio della professione. Svolse l'incarico di medico ad interim nelle ... Mostra di più
ospitiweb.indire.it/~csrc0004/napolillo/LorenzoCalogero.htm

1956
9 feb 1956 - Si veda, ad esempio, quanto Calogero scrive in una lettera a Sinisgalli del 9 febbraio 1956 a proposito della propria ricerca sul ritmo: «Non le sarà sfuggito lo sforzo per mantenere oltre che il ritmo, se non proprio l'incanto degli accenti [...] almeno una certa ... Mostra di più
books.google.com/books?id=zWE3i3-yvxQC&pg=PA396

1961
25 mar 1961 - Il 25 marzo del 1961 moriva suicida il più grande poeta calabrese: Lorenzo Calogero. Sono passati 47 anni da quel triste e drammatico giorno che ha tolto alla Calabria uno dei massimi esponenti della poesia europea. Si, perché in Europa, Lorenzo Calogero è ... Mostra di più
www.sciroccorosso.org/ultimissime.htm

1962
giu 1962 - E' nel giugno del 1962 che la cultura italiana scopre di aver guadagnato un nuovo grande poeta, Lorenzo Calogero. Lo scopre inaspettatamente, tra l'orgoglio e il disagio, con uno stupore che crea immediatamente la formula di 'caso letterario'. Risale infatti a ... Mostra di più
www.lorenzocalogero.it/critica/Verbaro.html

1981
1981 - E ancora, Giorgio Caproni definisce la poesia calogeriana «un tesoro rimasto sommerso», sostenendo che «il conto con Calogero è stato aperto e rimane aperto». Anche il noto Carmelo Bene, nell'anno 1981, nel periodo della lectura dantis bolognese, letta dalla torre ... Mostra di più
www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Home&id=24

1982
21 apr 1982 - Vent'anni fa, il 21 aprile 1982, moriva Felice Mastroianni, uno di quei calabresi che assieme a Franco Costabile, a Lorenzo Calogero ea pochi altri lasciarono un segno indelebile nella poesia del Novecento.
www.lameziastorica.it/saggi1a.htm

2002
13 apr 2002 - La Giornata di studio sulla poesia di Lorenzo Calogero, celebrata a Melicuccà il 13 aprile 2002, in occasione dell'inaugurazione del monumento funebre al poeta calabrese, propone la rilettura di una delle voci poetiche più alte del Novecento. Una poesia difficile ... Mostra di più
www.libreriadelsanto.it/libri_di/editore/Jaca_Book/page10.html

2004
24 lug 2004 - L'appuntamento della mostra “CITTA' FANTASTICA - i paesaggi sognati nell'opera di Lorenzo Calogero” di Nino Cannatà a Melicuccà, paese natale ... La poesia sibillina di Lorenzo Calogero, ha sensibilizzato e ispirato una cospicua ricerca d'immagini che ritraggono i paesaggi dell'antica ...
www.teknemedia.net/archivi/2004/7/24/mostra/7850.html

2008
18 nov 2008 - Un nuovo monumento per Lorenzo Calogero, il poeta della solitudine, morto suicida a Melicuccà nel marzo del 1961. da sx: l'assessore Romano Veltri; l'assessore Antonio Cammareri; il sindaco Emanuele Oliveri, il geom. Antonio Cosimo Monterosso, il vice sindaco, Giuseppe Lupini, ...
melitoonline.it/index.php/home/Calabria/Melicucca/Prima-Pagina/Melicucca-nuovo-monumento-a-Lorenzo -Calogero

martedì 25 agosto 2009

Lorenzo Calogero, Il realismo in poesia

Lorenzo Calogero, Il realismo in poesia
4
A Roma alla Pietra Serpentina di via Galvani Amelia presentò Lorenzo Calogero per i readings di Quattro Eccezioni in primavera 1982. Per quell'incontro preparò una sua biografia ed una nota...

lunedì 24 agosto 2009

Lorenzo Calogero "La letteratura per .."

"La letteratura, per quanto riesco ad immaginare.."
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A Roma alla Pietra Serpentina di via Galvani Amelia presentò Lorenzo Calogero per i readings di Quattro Eccezioni in primavera 1982. Per quell'incontro preparò una sua biografia ed una nota...

domenica 23 agosto 2009

1982 Rosselli e la biografia di Calogero [2]

Amelia Rosselli legge dall'introduzione..
2
Un successo postumo
Attesa per Calogero, in «Corriere della Sera», 14 agosto 1962, poi pubblicato in Sulla Poesia col titolo Un successo postumo, Milano, Mondadori, 1976, pag. 321-325.
http://www.lorenzocalogero.it/critica/montale.html
Lentamente, filtrando attraverso la rumorosa pubblicità di altre manifestazioni a sfondo letterario, e venuto in luce un nuovo «caso»: il caso di Lorenzo Calogero, poeta calabrese morto lo scorso anno, appena cinquantenne, completamente sconosciuto in vita ed oggi non solo accolto nella collezione «poeti europei» dell’editore Lerici, ma salutato con commossa ammirazione da un gruppo di poeti e critici che si contendono l’onore di averlo scoperto. Il volume apparso, "Opere poetiche", contiene circa quattrocento poesie e sarà seguito da un altro: almeno quindicimila sono i versi che il Calogero ha lasciato, in parte già pubblicati presso editori semiclandestini, in parte inediti. Non sappiamo ancora se il nuovo caso avrà quei caratteri epidemici che contraddistinguono i veri casi letterari o se sia piuttosto un tardivo atto di giustizia, un rimescolamento d’acque che poi torneranno a calmarsi: quel che sembra certo è che il medico calabrese Lorenzo Calogero, nato a Melicuccà (Reggio Calabria) nel 1910, morto in quello stesso paese, in circostanze poco chiare, dopo due tentativi di suicidio compiuti nel ‘43 e nel ‘56, fu dotato di un reale temperamento poetico ed è quindi da escludersi un abbaglio da parte di coloro che oggi vogliono rendergli l’onore che gli fu negato in vita. Il problema immediato sarà forse quello di comprendere i motivi che hanno ritardato l’attuale riconoscimento; e poi, ma più tardi, di definire entro quali limiti l’apporto del Calogero alla poesia italiana del nostro tempo debba ritenersi positivo. E diciamo subito che in questa breve notizia informativa il problema sarà lasciato aperto perché la poesia vera, e più che mai la difficile poesia di Calogero, deve attendere la sua verifica dall’invecchiamento.
Del Calogero sappiamo molto, se non tutto, per merito di Giuseppe Tedeschi, che ha scritto la prefazione del presente volume, e di Leonardo Sinisgalli, che ha conosciuto il poeta, l’ha incoraggiato ed è riuscito persino a fargli vincere un premio letterario, peraltro insufficiente a destare l’interesse dei critici. Tre sono i libri di versi dal Calogero pubblicati in vita: "Poco suono" (1936)," Ma questo..." (1955), "Come in dittici" (1956). Il volume pubblicato da Lerici contiene solo l’ultimo di questi libri e i sinora inediti "Quaderni di Villa Nuccia" che prendono il titolo dal sanatorio in cui il poeta fu ricoverato per più di un anno. Tutto il resto - e forse non potrà esser tutto - apparirà nel secondo tomo delle "Opere poetiche".
Terzo dei sei figli di un possidente, Lorenzo Calogero apparteneva ad una di quelle famiglie meridionali che non saprebbero immaginare un uomo di qualità sprovveduto di una laurea; e infatti Lorenzo, dopo aver tentato la facoltà d’ingegneria, ebbe la sua brava laurea in medicina a Napoli, nel ‘37. Come medico il poeta non doveva valer molto se fu obbligato a spostarsi in varî piccoli paesi della Calabria e se nel ‘54 il paese di Campiglia d’Orcia (la più settentrionale delle sue sedi, che lo vide «condotto ad interim») si affrettò a congedarlo dopo due mesi di prova. I veri interessi di Lorenzo, i suoi veri amori furono due: la madre e la poesia. Tutti e due, però, insufficienti a far di lui un uomo adattabile alla vita. Quali caratteri clinici ebbe la sua psicosi non si sa con certezza. È troppo facile affermare che un altro, nelle sue stesse condizioni, avrebbe potuto essere un buon medico e un buon poeta. Tutto quel che si può dire è che a lui non fu possibile. Con la famiglia ebbe rapporti contrastati, le sue amicizie furono esclusivamente epistolari e intermittenti, non si conoscono donne nella sua vita, fatta eccezione per un fidanzamento sfumato e per una non corrisposta passione per un’infermiera. Visse in povertà, nutrendosi più che altro di sigarette, di sonniferi e di caffè, e solo due volte pare si sia arrischiato fino a Milano e a Torino. Si può affermare che gli ultimi trent’anni della sua vita furono occupati dal quasi ininterrotto fluire della sua vena poetica e dall’inutile ricerca di contatti letterari con editori e critici.
Un poeta maledetto, dunque, di quelli che vedono nella sventura il solo loro possibile esito? Forse, ma senza il fatto tipico del maledettismo letterario: l’inurbamento, la vita in città, l’appartenenza a un gruppo, a un clan, il lato vantaggioso d’ogni cattiva stella, il rovescio della medaglia. Ho scritto altra volta che solo gli artisti mancati hanno il conforto di uno smisurato orgoglio; ma Calogero non fu, in questo senso, un uomo mancato e non gli fu largito un ipertrofico sentimento di se stesso. Anche se il successo gli fosse venuto da parte di uomini mediocri, e non dai suoi attuali scopritori, egli l’avrebbe forse accolto con umiltà, come si può comprendere da frammenti di sue lettere, per lo più sgrammaticate e deliranti.
Accostarsi alla sua poesia è un’ardua impresa perché in lui la parola è del tutto spogliata del suo contenuto semantico e ridotta a semplice segno. Questo poeta costituzionalmente incapace di vivere si era creato un habitat di parole poco o nulla significanti, non tanto espressioni quanto emanazioni del suo ribollente mondo interiore. Giustamente ha detto Sinisgalli che il suo punto d’arrivo è l’arabesco; ma che questa trama mai finita e sempre pronta a ricominciare sottintenda un sistema, come ci viene suggerito, resta un’ipotesi. Certo se scoprissimo la chiave di quell’intrico di rapporti ben altra evidenza assumerebbe una poesia in cui è, sicuramente, «un’idea dell’essere come tremore, terrore, catena di eventi fulminei, rotti, casuali» e sostanzialmente «più una fisiologia che una calligrafia». Nelle sue libere lasse (lontane da quell’alta marea verbale che fu di Whitman e di alcuni futuristi) Calogero scompone in emistichi il nostro verso tradizionale e lo ricompone in nuovi modi, con frequenti ipermetrie e non rare rime, piuttosto acciuffate a volo che necessarie. Non c’è sensualità in lui, e non conoscendo le sue prime prove non sappiamo quanto di deliberato ci sia in questa rinunzia. Il poeta ricorda davvicino certi musicisti moderatamente atonali che rasentano sempre il tono: la sua forma ha sempre qualcosa d’inconcluso, il senso del filo a piombo che ci fa dire, in poesia e in musica: «siamo alla fine», sembra essergli ignoto.
Un panorama di segni, s’è detto: le immagini naturali, pur frequenti, non hanno nulla di naturalistico e quando non sono ornamentali fanno parte di un groviglio di pensieri dissociati, spezzati. Non poeta pittore, dunque, per nulla impressionista, ancor meno espressionista se l’espressionismo nasce da una scelta violenta dei propri mezzi formali e da un deciso sentimento di rivolta; e lontano da quei giovani poeti nostri che si dicono schizofrenici perché oggi non si può essere altro, ma che presto occuperanno, e senza dubbio assai degnamente, cattedre universitarie, Calogero ha lavorato per molti anni in un incrocio di tendenze, rifiutandole tutte per non impoverirsi, interamente posseduto «dal demone dell’analogia, della similitudine». Una delle disgrazie di questo poeta nato forse alla poesia con qualche anno di ritardo è che i suoi versi non si prestano affatto alla citazione, e che, quando è possibile, l’estrapolazione non ci dà il meglio di lui e rivela, anzi, quante reminiscenze il flusso ininterrotto porta con sé. A una prima lettura Calogero si direbbe dunque un poeta da prendere o da lasciare, senza partiti intermedi: se lo si accetta, anche i giuochi di parole, la quasi puerile ricerca di suoni omofoni, le sue immagini da paravento giapponese, tutto il suo bric-à-brac segnico assume una giustificazione; se si crede invece che la grande poesia non possa fare a meno di una certa vittoria della ragione sulla materia oscura che si presenta a noi, allora la conclusione dovrà essere diversa. Ma è chiaro che qui si parla di grande poesia, e non è detto che il quasi demente di Villa Nuccia, con tutto il suo impegno umano, la sua indubbia preparazione letteraria, il suo delirante bisogno di trasformare in angelo una povera infermiera probabilmente sorpresa e atterrita, non possa costituire un grado intermedio tra la più alta poesia (quella di visionari come Hölderlin e l’ultimo Yeats) e una forma di espressione puramente velleitaria, informe.
Resta dunque inteso che una conclusione non può esser tratta da un frettoloso lettore d’oggi. E non è nemmeno necessario: la vera poesia, quando c’è, può sempre attendere il suo turno. Se qualcuno, poi, manifestasse la sua sorpresa per il fatto che oggi, in pieno boom editoriale, un poeta debba morire per farsi conoscere, bisognerà ricordargli che attualmente nella sola Italia escono più di mille libri di versi all’anno, metà dei quali hanno caratteri d’indubbia dignità; e che non è materialmente possibile l’esistenza di un mostro, di un critico che possa leggerli tutti senza giungere a una completa paralisi delle sue facoltà ricettive. A un certo grado di saturazione il palato e l’olfatto non soccorrono più. Il critico d’oggi è come uno di quei cuochi che vivono in mezzo a squisiti manicaretti, ma che ormai, se mangiano qualcosa, preferiscono mangiare pane e cipolla. Non so se questo stato di cose sia, per un poeta, una fortuna o una disgrazia. Indubbiamente resta al poeta, più che ad ogni altro artista, la speranza di uno scoppio ritardato. Ma si è già detto che per il Calogero il problema si presentava in forma ben diversa. Egli non scriveva la sua poesia, la viveva in un modo del tutto fisico e per lui l’attesa era qualcosa di inimmaginabile. Se avesse potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo.

sabato 22 agosto 2009

1982 Rosselli legge Calogero [2]


A Roma alla Pietra Serpentina di via Galvani Amelia presentò Lorenzo Calogero per i readings di Quattro eccezioni (letture dalla quarta e dalla quinta raccolta; negli ultimi anni della sua vita, 1960 e 1961, in cui s’intensifica in lui il bisogno di scrivere: Opere poetiche e i tanto preziosi trentacinque Quaderni di Villa Nuccia, così intitolati da Roberto Lerici, ispirato dalle lunghe e ripetute permanenze di Calogero nella casa di cura, “Villa Nuccia” appunto, a Gagliano in provincia di Catanzaro

1982 Rosselli legge Calogero [1]


una nota al primo libro Parole nel tempo, ..

1982 Rosselli e la biografia di Calogero [1]

01 - A Roma alla Pietra Serpentina di via Galvani Amelia presentò Lorenzo Calogero per i readings di Quattro Eccezioni in primavera 1982. Per quell'incontro preparò una sua biografia ed una nota su Calogero che rivela come, all'inizio degli anni ottanta, Amelia Rosselli si sentisse ancora presa nella sperimentazione e isolata, anche se la stagione delle letture pubbliche la impegnava a fondo e le rendeva merito con una notoreità nuova. Rimane di quell'evento una
registrazione con sottofondi conviviali (la Pietra era una trattoria di Testaccio) che mostra ancora una volta il suo impeccabile rigore di studiosa.




I.T.C."G. Pezzullo" CosenzaLORENZO CALOGERO POETA ERMETICO di Vincenzo Napolillo
Lorenzo Calogero (Melicuccà, 1910-1961), di famiglia benestante, terzo di sei fratelli, si laureò in medicina a Siena nel 1937. Nell’anno successivo conseguì a Siena l’abilitazione all’esercizio della professione. Svolse l’incarico di medico ad interim nelle province di Catanzaro e Reggio Calabria. Fece un primo tentativo di suicidio puntandosi la rivoltella al cuore. Fu salvo per miracolo. Trovò una fidanzata, di nome Graziella, studentessa di Reggio Calabria. Vincitore del concorso di medico condotto ad interim a Campiglia d’Orci (Siena), fu abbandonato dai clienti e dimissionato. Credette di avere un tumore o di avere contratto la tubercolosi, in realtà soffriva di malattia nervosa, acuita dalla morte della madre, e di disturbi polmonari. Nel 1960, incontrò a Roma il critico irpino Giuseppe Tedeschi, che lo fece ricoverare al Policlinico; ma se ne fuggì dopo due giorni di degenza. Morì suicida, nel paese natale, il 22 marzo 1961. Il suo cadavere fu scoperto tre giorni dopo.

Il poeta di Melicuccà è ultimo e strenuo rappresentante "dell’Arcadia ermetica italiana" (Alberto Frattini). Ha portato, con molto pregio, nonostante gli esiti tardivi, l’ermetismo europeo nell’area retorica e carica di problemi della provincia, interpretando alla rovescia il saggio di Carlo Bo, Letteratura come vita, vale a dire applicando l’assunto di morte alla letteratura. Lorenzo Calogero fu fortemente attratto alla poesia romantica tedesca: dalle visioni fascinose del paesaggio ellenico e dalla rete di simboli, spesso oscuri e misteriosi, di Friedric Holderlin; dall’avventura mistica di Novalis; dalle fiabe raccolte in "Phantasus" da Johann Ludwig Tieck. Nella sua poesia convengono anche la complessa e fluttuante materia psicologica e il senso di magia e mistero delle "Liriche ballate" dell’inglese Samuel Taylor Coleridge e le letture dei francesi: Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé. Né si sottrae ai procedimenti orfici ed evocativi di Dino Campana, alle influenze di Papini, Betocchi, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli, Sereni. Mescolò ibridamente questo bagaglio culturale con il simbolismo, il surrealismo, l’ermetismo. Considerò la parola ermetica, allusiva, analogica, imprevedibile, come "particella di vita". Impervio, però, fu il suo cammino nell’attività poetica, che fu un accavallarsi illogico di immagini, di ambigue evocazioni, di inquietudine spirituale, di disordinate visioni, di reiterate espressioni e giochi verbali, di sogni "infetti", di manie di persecuzione, di cose "perverse", di stati psichici di assoluto isolamento, strazianti, malinconici e continuamente mutevoli:
L’allodola
è fuggita dall’arco del suo cielo.
Nel silenzio, nello squallore
una vita squallida è toccata.
Guarda! Una linea scende mesta
dai monti prona: mista ad una lapide
è sognata.
Comincia con Poco suono (Milano, Cantauro, 1936) la sua disperata dedizione alla poesia. Nel versi della raccolta Parole del tempo (1933-35), pubblicata nel 1956, con prefazione di Leonardo Sinisgalli, continua a nutrisi di sogni e immagini arabescate.

Nelle successive opere, Ma questo; Come in dittici; Sogno più non ricordo, si scorge in lui la perdita, anche per l’aggravarsi delle condizioni di salute fisica e mentale, del controllo sui sentimenti: egli brancola nelle "tenebre slogate", in cui si ravvisa l’oscurità della vita, lasciandosi trascinare dalla rassegnazione sul precipizio o all’accettazione della morte "come destino dell’essere".

Lorenzo Calogero, immerso nella più disperata condizione di solitudine, spinge oltre il limite il suo smarrimento, i suoi ricordi dolorosi, la sua prostrazione, la sua allucinante rinuncia e, raccogliendo il grido geremiaco, implora la morte "a piene mani".

Nella casa di cura scrisse 50 frammenti, raccolti da Roberto Lerici in Quaderni di Villa Nuccia, che si connettono a una sempre più drammatica presa di coscienza della crisi totale:
O questa è preghiera
o una presaga bufera.
Manca del tutto la facoltà d’intessere un più umano sistema di rapporti con il mondo esterno. Pertanto la poesia di Calogero, sgombra da una trama logica o da substrato razionale, si consegna per sempre all’ansia di autodistruzione e di morte.
Nel silenzio si combatte ogni fatica
perigliosa all’anima inumana.
Un soffio di vento mi affatica
col potere di una forza di fiumana.
Mentre tacito scrivo e penso e medito
e guardo nell’anima mia che sente
una potenza d’abisso, un canto inedito
come sibilo tumultuosamente,
vedo nel vuoto pallidi sfilare
ogni tormento, ogni idea repressa
e misuro la gioia inespressa
che tutto mi fa pallido vibrare.
Penso e medito come una volta
lontanissima nei tempi sepolti
piani scoscesi pieni di molta
tristezza sui chini pallidi volti.
I cieli aggiornavano nella luce
mattutina su piani sconvolti
ed era come se un viso torbido
e truce risplendesse come ricordi sepolti.
Nell’infinità triste del ricordo
splendevano verità ignote.
Un dolce tacito accordo
insinuava malinconie e note.
I pallidi cieli si copersero a un tratto
come un incubo sotterraneo
spaventoso ed il mio viso disfatto
vide il mondo diradarsi subitaneo.
La donna da lui tante volte desiderata e invocata rivela alla fine un volto e un nome inconfondibili. Cesare pavese la riconobbe e la guardò negli occhi:
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo.
Sono versi coevi alla nota del suo diario: Il mestiere di vivere: "Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla".

Lorenzo Calogero vide spesso quella donna, da dietro la fredda vetrata del manicomio, come ossessionante figura: da decifrare, da portare nell’alcova, da possedere:
La morte
oh sì
la morte m’innamora
e la vorrei condurre a quel sito
in cui ella come amata amante
mi ama ancora.
Dopo di ciò, giunge l’infinito silenzio. In Come in dittici, i versi si radicano nel vuoto. Silenzio, vuoto, nulla: ecco la miscela che precipitò Lorenzo Giovanni Antonio Calogero al suicidio.

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