Prima di lasciare parola a Silvia De March ricordo infine Enzimi, il notevole progetto tra arti visuali, musica, danza e teatro del quale l'intervistata è coordinatrice.
LB: Addentriamoci ancor di più dentro il libro (più) breve della puntata, il tuo Amelia Rosselli tra storia e poesia, uscito per L'Ancora del Mediterraneo nel 2007. Questo studio si caratterizza per un approccio innovativo, pur nascendo da un momento "canonico" della vita universitaria qual è quello della tesi, con la quale è difficile essere innovativi o, peggio ancora, secondo il costume accademico, "eretici". Ci racconti di come ha preso forma in te, quali le premesse, quali le sorprese strada facendo? A mio avviso un aspetto innovativo si ravvisa già nel titolo, il quale, nell'apparente ma sibillina semplicità, inserisce quel binomio assai problematico di "storia e poesia"...
RISPOSTA: L'incontro con Amelia Rosselli fu assolutamente casuale. Rientrava in un mio folle percorso di catalogazione sistematica della poesia degli anni Cinquanta, a cavallo tra neorealismo e nuovi sperimentalismi. Ci arrivai per caso senza averne mai sentito parlare prima e senza conoscere la sua provenienza famigliare. Ricordo benissimo il giorno in cui la lessi per la prima volta. Fu per me folgorante: ogni altra ipotesi di ricerca fu d'emblée stralciata dalla potenza della sua figura e della sua scrittura e dalla molteplicità di sollecitazioni che aveva innescato.
Fu una tesi assolutamente formativa, che mi schiuse ambiti anche lontani, come la storia della musica nel Novecento, oppure l'ingresso della psicanalisi in Italia, la densità di contenuti del dibattito nel pieno della Ricostruzione dell'Italia.
La scelta rispondeva ad una mia propensione, che andava chiarendosi, verso scritture letterarie impegnate nella ricerca formale e al tempo stesso nella pregnanza di contenuti d'urgenza attuale. I temi trattati acquisivano spessore proprio grazie ai meccanismi letterari che ne innescavano le potenzialità comunicative. L'originalità della forma faceva la differenza letteraria e misurava anche l'"impegno" nella testimonianza della realtà.
Tra il 2004 e il 2006 si poteva ancora parlare di "approccio innovativo" perché il mio studio fu il primo, nel panorama rosselliano, a spostare l'attenzione dalla descrizione stilistica all'interpretazione ermeneutica a partire da una ricostruzione realistica e storica del mondo che l'autrice intendeva esprimere. Avere il coraggio di dire "cerchiamo di capire cos'ha da dirci Amelia" nel 2004, nell'estrema provincia dell'impero, certo, sembrava eretico, specie in ambito accademico dove non era consentito trattare autori del Nocecento su cui pagine critiche dovevano ancora essere scritte da altri. Più complessivamente fino ad allora sulla Rosselli erano state prodotte soltanto esercitazioni di analisi morfologica. Sembrava mancasse la legittimazione a indagare il messaggio dell'autrice incluso nel miracolo della sua forma.
La mia pubblicazione è stata salutata favorevolmente nel mondo dei rossellisti e ha schiuso o meglio anticipato una serie di pubblicazioni orientate all'indagine dei contenuti. La ricostruzione del background storico-culturale della nostra restituiva tridimensionalità e complessità ad una voce troppo sottile quanto pungente. Ciò è stato possibile raccogliendo una varietà di testimonianze di conoscenze dirette, estranee al mondo letterario e legate soprattutto alla sua formazione. Ma soprattutto ho ricevuto per prima e in via esclusiva l'autorizzazione di accedere all'archivio privato di Amelia Rosselli depositato al Centro di Tradizione Manoscritta di Pavia, prima precluso dal vincolo di riservatezza. L'operazione è stata resa possibile grazie alla fiducia accordatami dalla famiglia Rosselli. Il contatto diretto con la scrittura privata di Amelia, in particolare con le lettere inviate al fratello, ricordo che è stato caustico perché evidenti erano le stigmate della patologia schizofrenica. Si trattava di un ampio materiale che consentiva di ricostruire quasi la sua quotidianità, collocando precisamente esperienze, incontri, viaggi accanto alla riflessione sulla sua opera poetica.
È quindi stato naturale dedicare una parte del mio studio all'interpretazione dei testi come forme di sporgenza di quel parterre che via via mi si chiariva. Alla mia interpretazione, che considerava la rilevanza e l'imminenza della politica nell'orizzonte della poetessa, si è spesso attribuita una marca "ideologizzante", senza volersi confrontare con la realtà dei fatti: Amelia Rosselli ad ogni sua presentazione (oggi consultabili nella raccolta di interviste È vostra la vita che ho perso, volume curato da me e Monica Venturini per Le Lettere) forniva alcuni elementi fissi, come se interpretasse un canovaccio; tra queste costanti c'era il fatto di essere figlia di Carlo Rosselli e di essere comunista. Evidentemente sono elementi centrali nella costruzione della propria immagine autoriale e della propria prospettiva esperienziale. Sta a noi appiattirli ad una lettura ideologica oppure interpretarli alla luce di una contestualizzazione.
LB: Per concludere vorrei frugare all'interno della tua duratura attenzione verso la scrittura poetica e lanciare idealmente qualche ponte per proseguire la lettura. Quali secondo te le esperienze più significative nel panorama attuale, non necessariamente soltanto italiano? Quali sono le aperture per le quali sei debitrice ad Amelia Rosselli e quali le tue ultime "conquiste"?
RISPOSTA: Il discorso è piuttosto complesso. La curiosità letteraria di Amelia Rosselli fu gravemente compromessa dalla sua malattia, che non le lasciava molti spazi mentali ed energie emotive per svolgere la funzione di intellettuale vigile che essa stessa si era prefissa, subendo poi un forte senso di impotenza. Senz'altro per definire la sua collocazione e comprendere la sua formazione mi sono schiusa la lettura di molti suoi contemporanei e alcuni autori inglesi per lei di riferimento, a partire da Dylan Thomas.
Grazie a lei non mi è più parso chiaro il limite tra soggettivismo e oggettività che è divenuto parte strutturante della mia ricerca. La Rosselli muove dalla lirica trovando ogni forma che possa ridimensionare l'io: lo spazio metrico cubico, l'affidamento all'I Ching nella composizione, la misura del tempo e dello spazio geometrico, i mandala, la metrica atonale e quindi universale. A cavallo tra la I e la II guerra mondiale, inizialmente in ambito anglosassone, poi anche nel cuore dell'Europa e in Italia, un insieme di ricerche mirano a desoggettivizzare la scrittura oppure oggettivizzare il vissuto soggettivo, pur mantenendo un legame inscindibile con l'esperienza della realtà. Sono scritture che sfidando l'interpretazione più meramente fattuale del realismo e ciò che mi affascina è la controversa fedeltà alla restituzione della realtà di cui si è sintomo.
Se dovessi invece valutare l'influenza letteraria della Rosselli sulle generazioni successive dovrei aprire un capitolo dedicato a questioni di ricezione in relazione ai momenti precedenti o successivi alla canonizzazione. Senz'altro la Rosselli è stata molto nota trasversalmente nell'ambiente romano. Ma la sua circuitazione libraria era assai di nicchia e si è spesso ribadito come la Rosselli vivesse ai margini della società letteraria. Poetesse oggi mature hanno scritto anche in mancanza della sua conoscenza diretta, pur raggiungendo risultati degni di nota anche all'interno della famiglia degli sperimentalisti.
La canonizzazione di Amelia Rosselli all'interno di antologie scolastiche è cominciata intorno ai tardi anni Novanta, grazie in particolare al magistero di un critico tetragono come Luperini. La sua più ampia divulgazione coinvolge dunque generazioni che cominciano ora ad esprimersi o che sono a venire.
Difficile concludere indicando le esperienze più significative del panorama attuale: è appena morto il Novecento italiano - Zanzotto, Pagliarani, Giudici - e riferimenti esterni come la Szymborska lasciano il vuoto. Le loro stature si sono consolidate per accrescimenti successivi. Occorre tempo per maturare altezze e stagliarsi in prospettiva.
La copertina del libro di Silvia De March |
RISPOSTA: L'incontro con Amelia Rosselli fu assolutamente casuale. Rientrava in un mio folle percorso di catalogazione sistematica della poesia degli anni Cinquanta, a cavallo tra neorealismo e nuovi sperimentalismi. Ci arrivai per caso senza averne mai sentito parlare prima e senza conoscere la sua provenienza famigliare. Ricordo benissimo il giorno in cui la lessi per la prima volta. Fu per me folgorante: ogni altra ipotesi di ricerca fu d'emblée stralciata dalla potenza della sua figura e della sua scrittura e dalla molteplicità di sollecitazioni che aveva innescato.
Fu una tesi assolutamente formativa, che mi schiuse ambiti anche lontani, come la storia della musica nel Novecento, oppure l'ingresso della psicanalisi in Italia, la densità di contenuti del dibattito nel pieno della Ricostruzione dell'Italia.
La scelta rispondeva ad una mia propensione, che andava chiarendosi, verso scritture letterarie impegnate nella ricerca formale e al tempo stesso nella pregnanza di contenuti d'urgenza attuale. I temi trattati acquisivano spessore proprio grazie ai meccanismi letterari che ne innescavano le potenzialità comunicative. L'originalità della forma faceva la differenza letteraria e misurava anche l'"impegno" nella testimonianza della realtà.
Tra il 2004 e il 2006 si poteva ancora parlare di "approccio innovativo" perché il mio studio fu il primo, nel panorama rosselliano, a spostare l'attenzione dalla descrizione stilistica all'interpretazione ermeneutica a partire da una ricostruzione realistica e storica del mondo che l'autrice intendeva esprimere. Avere il coraggio di dire "cerchiamo di capire cos'ha da dirci Amelia" nel 2004, nell'estrema provincia dell'impero, certo, sembrava eretico, specie in ambito accademico dove non era consentito trattare autori del Nocecento su cui pagine critiche dovevano ancora essere scritte da altri. Più complessivamente fino ad allora sulla Rosselli erano state prodotte soltanto esercitazioni di analisi morfologica. Sembrava mancasse la legittimazione a indagare il messaggio dell'autrice incluso nel miracolo della sua forma.
La mia pubblicazione è stata salutata favorevolmente nel mondo dei rossellisti e ha schiuso o meglio anticipato una serie di pubblicazioni orientate all'indagine dei contenuti. La ricostruzione del background storico-culturale della nostra restituiva tridimensionalità e complessità ad una voce troppo sottile quanto pungente. Ciò è stato possibile raccogliendo una varietà di testimonianze di conoscenze dirette, estranee al mondo letterario e legate soprattutto alla sua formazione. Ma soprattutto ho ricevuto per prima e in via esclusiva l'autorizzazione di accedere all'archivio privato di Amelia Rosselli depositato al Centro di Tradizione Manoscritta di Pavia, prima precluso dal vincolo di riservatezza. L'operazione è stata resa possibile grazie alla fiducia accordatami dalla famiglia Rosselli. Il contatto diretto con la scrittura privata di Amelia, in particolare con le lettere inviate al fratello, ricordo che è stato caustico perché evidenti erano le stigmate della patologia schizofrenica. Si trattava di un ampio materiale che consentiva di ricostruire quasi la sua quotidianità, collocando precisamente esperienze, incontri, viaggi accanto alla riflessione sulla sua opera poetica.
È quindi stato naturale dedicare una parte del mio studio all'interpretazione dei testi come forme di sporgenza di quel parterre che via via mi si chiariva. Alla mia interpretazione, che considerava la rilevanza e l'imminenza della politica nell'orizzonte della poetessa, si è spesso attribuita una marca "ideologizzante", senza volersi confrontare con la realtà dei fatti: Amelia Rosselli ad ogni sua presentazione (oggi consultabili nella raccolta di interviste È vostra la vita che ho perso, volume curato da me e Monica Venturini per Le Lettere) forniva alcuni elementi fissi, come se interpretasse un canovaccio; tra queste costanti c'era il fatto di essere figlia di Carlo Rosselli e di essere comunista. Evidentemente sono elementi centrali nella costruzione della propria immagine autoriale e della propria prospettiva esperienziale. Sta a noi appiattirli ad una lettura ideologica oppure interpretarli alla luce di una contestualizzazione.
Il libro di Giulio Ferroni su Giudici e Zanzotto |
RISPOSTA: Il discorso è piuttosto complesso. La curiosità letteraria di Amelia Rosselli fu gravemente compromessa dalla sua malattia, che non le lasciava molti spazi mentali ed energie emotive per svolgere la funzione di intellettuale vigile che essa stessa si era prefissa, subendo poi un forte senso di impotenza. Senz'altro per definire la sua collocazione e comprendere la sua formazione mi sono schiusa la lettura di molti suoi contemporanei e alcuni autori inglesi per lei di riferimento, a partire da Dylan Thomas.
Grazie a lei non mi è più parso chiaro il limite tra soggettivismo e oggettività che è divenuto parte strutturante della mia ricerca. La Rosselli muove dalla lirica trovando ogni forma che possa ridimensionare l'io: lo spazio metrico cubico, l'affidamento all'I Ching nella composizione, la misura del tempo e dello spazio geometrico, i mandala, la metrica atonale e quindi universale. A cavallo tra la I e la II guerra mondiale, inizialmente in ambito anglosassone, poi anche nel cuore dell'Europa e in Italia, un insieme di ricerche mirano a desoggettivizzare la scrittura oppure oggettivizzare il vissuto soggettivo, pur mantenendo un legame inscindibile con l'esperienza della realtà. Sono scritture che sfidando l'interpretazione più meramente fattuale del realismo e ciò che mi affascina è la controversa fedeltà alla restituzione della realtà di cui si è sintomo.
Se dovessi invece valutare l'influenza letteraria della Rosselli sulle generazioni successive dovrei aprire un capitolo dedicato a questioni di ricezione in relazione ai momenti precedenti o successivi alla canonizzazione. Senz'altro la Rosselli è stata molto nota trasversalmente nell'ambiente romano. Ma la sua circuitazione libraria era assai di nicchia e si è spesso ribadito come la Rosselli vivesse ai margini della società letteraria. Poetesse oggi mature hanno scritto anche in mancanza della sua conoscenza diretta, pur raggiungendo risultati degni di nota anche all'interno della famiglia degli sperimentalisti.
La canonizzazione di Amelia Rosselli all'interno di antologie scolastiche è cominciata intorno ai tardi anni Novanta, grazie in particolare al magistero di un critico tetragono come Luperini. La sua più ampia divulgazione coinvolge dunque generazioni che cominciano ora ad esprimersi o che sono a venire.
Difficile concludere indicando le esperienze più significative del panorama attuale: è appena morto il Novecento italiano - Zanzotto, Pagliarani, Giudici - e riferimenti esterni come la Szymborska lasciano il vuoto. Le loro stature si sono consolidate per accrescimenti successivi. Occorre tempo per maturare altezze e stagliarsi in prospettiva.
V * i * d * e * o * r
RispondiEliminaQuesto blog è sotto esame a causa di possibili violazioni dei Termini di servizio di Blogger ed è aperto solo agli autori.
http://videorlab.blogspot.com/
Non ci risulta che tu sia un autore di questo blog.
Orazio cos'ha combinato?
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L'articolo è interessante ma troppo accademico perchè una sprovveduta come me possa servirsene per una crescita personale. Non dimenticherò però questi nomi e questi argomenti: saranno come nodi al fazzoletto nella cartella delle cose che non so e che non avrò tempo di approfondire in questa vita.
Gli automatismi inevitabili nella gestione dei blog da parte di google (nostro dovere e fonte di salvezza) fanno sì che scattino queste "trappole-avvertimento" quando il sistema individua l'inserimento di "codice" pericoloso. Naturalmente tutto ciò sarà avvenuto in modo casuale, e sembra che la cosa sia in via di risoluzione.
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