Tu, lettore distratto, che sfogli in fretta e che non leggi poesie, non correre oltre, se puoi. Fermati. Non su questa nota improvvisata e accessoria, ma sulla poesia pubblicata in questa pagina. Rileggila con calma almeno tre volte. Non l'avrei costretta a uscire dallibro in cui stava solo per incontrare sguardi di noncuranza. Sulle pagine di un giornale, una poesia ci sta sempre come un ospite in imbarazzo o come un corpo estraneo. Incoraggiarla a parlare spetta anche a te. Chi legge (se legge) non e meno «creativo» di chi scrive. Anche di più.
Qualcuno (Franco Brioschi, recentemente) ha teorizzato che un testa poetico si distingue soprattutto perche non è un testa di consumo ma un testa di ri-uso, non una merce usa-e-getta, ma un insieme di parole organizzate in forma stabile: e che, rileggendole, invece di usurarsi e perdere valore, lo acquistano. Aggiungerei che ogni scritto critico, dalla breve recensione alla storia letteraria, dovrebbe essere come un dito che indica la luna. Anche se molti guardano il dito, invece di guardare la luna. La luna che il mio dito indica questa volta è una poesia di Amelia Rosselli. Fu pubblicata in Variazioni belliche nel 1964 (Garzanti). La scrittrice aveva poco piu di trent'anni, era quello il suo primo Iibro. Ma l'anno precedente sui numero 6 del Menabò, la rivista di Elio Vittorini e Italo Calvino, una scelta delle sue poesie era stata presentata da Pier Paolo Pasolini, che parlava del lapsus come di uno degli aspetti piu «clamorosi del connettivo linguistico di Amelia Rosselli ».
L'osservazione pasoliniana è rimasta a lungo un punto fermo dell a critica successiva (non molto prodiga con la Rosselli). Il rischio era pero che per lapsus si intendesse qualcosa di tanto evidente quanto di riduttivo. Nella poesia che ho scelto se ne trova uno solo, al secondo verso: «Su della sua passione». E come un accumularsi, un accavallarsi di determinazioni e specificazioni. Una fusione fra «il cadavere... dell a sua passione» e «fIotta su (la) sua passione». L'espressione e abbreviata, condensata, è tanto inusuale da risultare abnorme.
Irregolarità di questo tipo non sono mai un partito preso nella poesia di Amelia Rosselli. Sono gli inciampi grammaticali, le scivolate, le scorciatoie improvvise e accidentali verso quel resto di verita non detta che spesso giace nei dintorni immediati di quello che diciamo o stiamo per dire. La poesia è una specie di «grammatica dei poveri» per Amelia Rosselli, una costruzione di fortuna, un pensare e parlare in stato di necessità, e quanto viene detto è letteralmente vero e reale, anche se non sembra del tutto logico. Ma che cosa ci annunciano di vero e di reale queste righe spezzate in cui si addensano, come nuvole profetiche le parole pronunciate fra sé e sé da questa Cassandra che sa leggere i giornali?
«Contiamo infiniti cadaveri »: e che cosa abbiamo fatto se non questo, anche oggi, sentendo le notizie del giorno? «Siamo I'ultima specie umana »: noi, Occidente sviluppato, continuiamo a vivere di cannibalismo ai danni dei Paesi piu poveri e riempiamo un piccolo pianeta di armi e rifiuti. Non siamo una civiltà in crisi, siamo già il cadavere della specie a cui apparteniamo. Vogliamo a tutti i costi essere gli ultimi e che dopo non ci sia altro. Poi, alla terza riga, il verbo al presente lascia il posto a un imperfetto narrativo, che ora parla di una storia personale, di un eroismo ingannato, di una battaglia persa. Alla fine, separati da una pausa, I'invocazione all'amore e I'auto-epitaffio sono I'una accanto all'altro.
Nell'intervista che chiude I' Antologia poetica Amelia Rosselli dice: «Con le noie che avevo prima dalla Cia e ora pare anche da Cosa nostra, non riesco a vivere come vorrei ». Puo succedere questo a un poeta? Voi invece, lettrici e lettori, vi sentite al sicuro? La Cia e Cosa nostra vi lasciano in pace? Non siamo tutti nelle loro mani?
Contiamo infiniti cadaveri. Siamo I'ultima specie umana.
Siamo il cadavere che flotta putrefatto su della sua passione!
La calma non mi nutriva il sol-leone era il mio desiderio.
Il mio pia desiderio era di vincere la battaglia, il male,
la tristezza, le fandonie, I'incoscienza, la pluralità
dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni
d'ogni male, d'ogni bene, d'ogni battaglia, d'ogni dovere
d'ogni fandonia: la crudelta a parte il gioco riposto attraverso
il filtro dell'incoscienza. Amore amore che cadi e giaci
supino la tua stella e la mia dimora.
Caduta sulla linea di battaglia. La bontà era un ritornello
che non mi fregava ma ero fregata da essa! La linea della
demarcazione tra poveri e ricchi.
On trouve
martedì 9 marzo 2010
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