Uno dei casi più clamorosi del connettivo linguistico di Amelia Rosselli è il lapsus. Ora finto, ora vero: ma quando è finto, probabilmente lo è nel senso che, formatosi spontaneamente, viene subito accettato, adottato, fissato dall'autrice sotto la specie estetica di una « invenzione che si fa da sé ». E così inserito nella serie di borchie, di cui questa lingua - nata come fuori dal cervello, quasi proiezione fisica di un involucro spirituale razionalmente inesprimibile - ha bisogno di costellarsi, per presentarsi come prodotto culturale riconoscibile, leggibile.
In realtà questa lingua - ripeto - è dominata da qualcosa di meccanico: emulsione che prende forma per suo conto, imposseduta, come si ha l'impressione che succeda per gli esperimenti di laboratorio più terribili, tumori, scoppi atomici, dominati solo scientificamente, ma non nei sintomi della terribilità, in quel loro accadere ormai oggettivo. Sicché il magma - la terribiIità - è fissato in forme strofiche tanto più chiuse e assolute quanto più arbitrarie. I lapsus - è strano a dire - sono in fondo l'unico fatto che rende questa lingua storicamente o almeno correntemente determinata. L'unico fatto che sia in qualche modo in comune, - a un'analisi ragionevole, - coi grandi testi che presuppone (si noti, letti nelle loro lingue, nel semplice corso scolastico e famigliare d'istruzione). I finti lapsus sono una caratteristica linguistica dei poeti linguisti (categoria, però, a cui la Rosselli non è riducibile) e sono, insieme, uno degli elementi più correnti della poesia surrealistica (ma la Rosselli non ha con essa parentele). Voglio dire che certamente la Rosselli sa di fare esperimenti linguistici scoperti, in un laboratorio pubblico. E che anzi la pubblicità di tali esperimenti è un dato formale della sua poesia. La Rosselli sa inoltre, certo, le analogie dei suoi nessi con quelli dei surrealisti, dei mistici iteranti, alliteranti, etimologici, anaforici, facitori di reminders. E che esistono parentele con Pound. Quel Pound che nelle trascrizioni milanesi e così letterario e provinciale.
Tuttavia, io direi che più che di specie culturale (e lo sono) i lapsus della Rosselli, sono di specie ideologica.
Il mondo - attraverso queste borchie - che assicurano storicità, continuità e stabilità a dei testi che sono in realtà dei soffi spirituali direi epilettici, delle ideografie in cui un'anima si proietta alIa lettera, e non senza letteratura - il mondo si presenta come un mondo tipicamente liberale e irrazionale.
La critica del poeta a se stesso - in un simile rapporto col reale - avviene si può dire quasi unicamente attraverso i lapsus: cioe attraverso l'affabulazione... focomelica... delle proprie figliazioni istituzionali, e quindi per obbligo sociale e consacrazione, sane.
La Rosselli pesta la propria lingua, dunque, non con la violenza di un' altra lingua rivale - « altra» ideologicamente e storicamente - ma con la violenza di quella stessa lingua alienata da sé attraverso un processo di disintegrazione (musicale, direbbe l'autrice) che, in realtà, la ripresenta abnorme sì, ma identica e se stessa.
I lapsus sotto forma di errore lessicale e grammaticale, come accade qui, lasciano la parola quella che è: semplicemente la rivelano sotto un aspetto orrendo, di oggettivita putrefatta o ridicola. L'agonia o la morte non mutano il mondo. Tutto lo « spirito » della società liberale è infatti fondato sui lapsus come deformazione linguistica. Il comico del periodo della letteratura del capitalismo creatore, della grande borghesia - è fondato su una pura e semplice deformazione delI'istituzione: il che esclude ogni possibilità reale di riforma o di rivoluzione linguistica (e istituzionale). Direi anzi che è più resistente ai corrosivi di una ideologia rivoluzionaria una parola deforme che una parola normale. La deformità comporta una più integrale capacita di resistenza, se crea intorno a sé una cerchia insuperabile di morte e di sacralità. Tutto lo spirito liberale vive di facezie che deridono le istituzioni senza intaccarle, accontentandosi semplicemente di inoculare in esse la malattia del mistero, in una inconscia reificazione. (Ho sotto gli occhi un libra che ha successo in Francia, La foire de cancres, errori di scolari somari: « Chi sono i profeti? Gli abitanti della profezia, piccola nazione molto industriosa», « ... faceva morire i nemici in raffinerie di crudeltà ». E potrei anche citare tutti i motti di spirito attribuiti per la maggior parte a un centro di produzione collertivo, il mondo gergale delIa élite laica di via Veneto).
Il lapsus dà una profonda liberazione: consente, alla buonora, di liberarsi del peso istituzionale - gravante su tutta la lunghezza delI'anima - e, nel tempo stesso, di rispettarlo. Non c'e motto in forma di lapsus che sia tanto cinico, feroce, ironico, sprezzante che non includa un sostanziale rispetto per la lingua e la istituzione d'uso. E, se mai ve ne fu, la tipica negatività che afferma. Il fondo del libro della Rosselli - sono riuscito a dirlo malgrado il suo totale rifiuto, la sua pazzesca coerenza che lo salda da tutte le parti come un molle fortilizio - è la grande cultura liberale europea del Novecento. E lo è con uno splendore del tutto eccezionale. Direi che non mi sono mai imbattuto, in questi anni, in un prodotto del genere, così potentemente amorfo, così oggettivamente superbo.
Il Mito dell'Irrazionalità (mettiamoci le maiuscole), ha, con le poesie dell a Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore: lussureggiante oasi fiorita con la stupefacente e casuale violenza del dato di fatto, ai margini del dominio. E il revival avanguardistico - così tetra presso gli eterni apprendisti di Milano e Torino - ha trovato in questa specie di apolide dalle grandi tradizioni famigliari di Cosmpopolis, un terreno dove esplodere con la funesta e meravigliosa fecondità dei funghi atomici nell'atto in cui divengono forme, ecc. ecc. Oltre i limiti del risguardo non vado. E aggiungo che il tema dei lapsus è un piccolo tema secondario e irrisorio rispetto i grandi temi dell a Nevrosi e del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo che si propone come ineffando.
Amella RosselIi, figlla di Carlo Rosselli, ha trentatre anni. Ha studiato in Francia, Inghilterra, Stati Uniti: dal 1950 vive aRoma. Svolge professione, come teorica e compositrice, di musicista. Ha pubblicato un racconto su « Botteghe oscure » e saggi su « Diapason» e « CiviItà delle macchine ». Scrive, indifferentemente, in itaIiano, inglese e francese.
On trouve
martedì 9 marzo 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento