Tali presupposti, d'altra parte, trovavano un riscontro emozionante e necessario nell'imperfezione sussurrata e lacerante del dire italiano di Amelia Rosselli, sullo sfondo dell'estraneità roca ma penetrantissima della voce indotta a pronunciare i proprî versi sulla scena: e sovviene la memoria d'una serata parmigiana di neve mai più così fitta, nel febbraio del 1986, quando ascoltai una sua performance con rapimento e con dolore, nel contesto del festival «Di versi in versi», accanto ad altri protagonisti della nostra avanguardia (Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Corrado Costa), e colsi lo strazio lacerato di quei corpi consacrati alla scrittura, ma insieme sorpresi nell'atto di restituire alla scrittura l'oralità originaria di una parola di nuovo «intera», caricata del peso di un'esperienza di irredimibile scissione, di separazione da qualsivoglia forma possibile di ordine esistenziale. Ed è questa una linea della nostra avanguardia cui prima o poi si dovrà riconoscere, pur lottando con il precario destino editoriale di opera omnia troppo intensi e provocatorî per divenire best-seller, un'altezza molto più certa e duratura di quella raggiunta dai «novissimi», con le eccezioni parziali del Sanguineti di Laborintus e di Postkarten, oltre che dell'ultimo Porta.
In ogni caso, sul valore indiscusso della poesia della Rosselli sono una volta di più intervenuti con acutezza Giovanni Giudici e Niva Lorenzini: il primo sottolineando nell'introduzione all'Antologia poetica edita da Garzanti nel 1987 «la sua ansia di significazione», la seconda parlando di «una via solitaria verso la sregolatezza, nel rifiuto della linearità, della logica che domina le cause e gli effetti». Molto, naturalmente, è ancora da fare sul versante critico, ma chi legge o scrive versi, oggi, a causa del volo estremo che ha concluso l'esistenza di Amelia, dovrà in primo luogo rimpiangere di non poter più condividere l'esperienza concreta di un monologo portato davvero a segnare 'dentro' ogni ascoltatore. Ma, subito, sarà chiamato anche a condividere la certezza di poter contare sulle tensioni e sui contrappunti di un classico vero della sua fine di secolo. Tanto che, nella forma di un sogno, tale consapevolezza viene in sostanza anticipata dalla scrittrice stessa, in uno splendido testo che accoglie tra le sue possibilità di lettura anche quella autoriflessiva:
Il colore che torna dal nero
al verde d'un prato affamato
fiori scesi giù tranquilli
posano per gli artistiguardandomi girare tranquillamente
per le strade a volte bianche.
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